Statue e memoria: crollo non significa oblio

Negli ultimi giorni sono state abbattute varie statue in diversi paesi del mondo. Da quella di Edward Colston a Bristol fino ad arrivare a Minneapolis e a Richmon in cui è stata fatta crollare quella di Cristoforo Colombo; altre sono state vandalizzate: ad esempio quella di Indro Montanelli a Milano. Tutto sembra ruotare intorno alla questione della memoria.

Ma cos’è la memoria?

Una facoltà individuale che ci permette di essere noi stessi, di situarci nel tempo e nello spazio e che ci permette anche di comunicare con gli altri” (Memoria, narrazione, audiovisivo di P. Sorlin e S. Leonzi). La memoria è anche e soprattutto sociale, poiché è proprio dalle varie agenzie di socializzazione che viene mediata. Per parlare del perché queste statue sono state abbattute bisogna introdurre il concetto di memoria senza ricordi. Fare riferimento a determinati episodi, simboli, oggetti può richiamare alla nostra mente avvenimenti che in realtà non sono stati vissuti da nessuno. Questo tipo di memoria nasce da quello che si impara dai diversi gruppi di cui si fa parte e cambia col passare del tempo. Dunque la nostra memoria non è del tutto indipendente dall’ambiente in cui si vive, motivo per cui Maurice Halbwachs parla anche di quadri sociali della memoria.

Perché la statua di Cristoforo Colombo è stata abbattuta?

Perché si può avere una doppia visione del passato. Esistono infatti due tipi di memoria: la prima è personale e la seconda appresa (senza ricordi). Per comprendere meglio questa differenza è utile ricorrere all’esempio del sociologo francese Pierre Sorlin: “dal 1944 agli anni Novanta del XX secolo, i ferrovieri francesi sono stati considerati eroi della Resistenza, poiché avevano partecipato […] alla lotta partigiana. […] Questa immagine gloriosa cominciava a sfalfarsi negli anni Novanta, quando giovani ebrei, nipoti di persone che erano state mandate nei campi della morte, hanno accusato duramente le ferrovie francesi sostenendo che la deportazione in Germania […] è stata resa possibile dalla collaborazione dai funzionari delle ferrovie francesi con i nazisti.” (Ibidem). La memoria dunque è cambiata, così come sta cambiando in questi giorni; all’epoca i ferrovieri erano a conoscenza del lato oscuro della medaglia, e ne avevano tralasciato quell’aspetto. Gli ebrei invece attraverso la protesta, avevano fatto emergere altri elementi della storia. Ci si trova davanti a quella che si chiama volontà di riappropriazione della memoria. Questo avviene anche perché nella memoria senza ricordi non esiste l’oblio, a differenza di quella individuale che può dimenticare cose inutili, spiacevoli. La dimostrazione dell’abbattimento della statua di Cristoforo Colombo ne è l’esempio lampante: finché esisteranno dei gruppi di persone che ricorderanno un determinato evento, quest’ultimo non verrà mai dimenticato. Anzi, in un certo momento potrà persino riapparire diventando un fatto rilevante.

La memoria è politica

La memoria dunque crea solidarietà, attraverso riferimenti comuni. Il processo è quello di creare attraverso questi riferimenti una narrazione per far sì che il ricordo di grandi uomini, ad esempio, rimanga vivo. Dunque apprendere vuol dire anche integrarsi. Ecco che da sociale la memoria diventa politicauno strumento di appartenenza o di rifiuto, un’identità che si può o meno accettare. Un altro esempio per capire meglio: “Giovanna D’Arco è stata totalmente dimenticata per secoli poiché nessuna delle parti intendeva ricordarla: né la Chiesa che l’aveva condannata al rogo, né la monarchia che avrebbe potuto pagare gli inglesi e recuperarla, ma non l’aveva fatto. […] Entrambe le istituzioni hanno preferito oscurarne la memoria. Quando però, nei trentarè anni della Seconda Repubblica francese, si è innescato un conflitto tra monarchici, con il sostegno della Chiesa, e repubblicani, entrambe le fazioni hanno tentato di impadronirsi della memoria di Giovana D’Arco. Una memoria che non solo non aveva niente in comune con i ricordi personali di quanti vivevano il periodo storico della Seconda Repubblica, ma che aveva inoltre subito un lungo periodo di oblio.” (Ibidem)

Un conflitto può essere l’evento in grado di modificare la memoria, il tempo passa inesorabilmente e può portare via con sé diverse concenzioni. Azioni, simboli, oggetti, comportamenti che per anni sono stati socialmente accettati dai più, possono essere considerati devianti oggi. Bisogna solamente avere una visione completa e il più oggettiva possibile. Bisogna accettare il fatto che Cristoforo Colombo, oltre ad essere stato un grande navigatore, ha anche contribuito ad un vero e proprio genocidio. Gli avvenimenti devono essere contestualizzati all’interno del proprio periodo storico, ed il punto è proprio questo: si può “giustificare” che determinati gesti siano stati causati dal pensiero di una determinata epoca?  È opportuno però anche considerare che non si vive più in quell’epoca. Ecco perché Halbwachs parla di quadri sociali della memoria: sostiene che in realtà una collettività non ha una memoria, un pensiero. Infatti questi scambi, queste rivalutazioni all’interno di gruppi modificano quello che può essere considerato come un patrimonio mentale comune. Vi è un meccanismo che attraverso vari filtri – quali la religione, le tradizioni e il linguaggio – permette la manifestazione di un certo tipo di memoria e ne impedisce altre.

Così come una statua è stata eretta per ricordare le virtù di un personaggio, paradossalmente può essere abbattuta per ricordarne gli sbagli. C’è chi sostiene che rimuovere queste statue significherebbe cancellare il passato; secondo me semplicemente non sarebbe più la statua a rappresentare il passato, ma sarebbe l’evento stesso della caduta a ricordare sia la storia, sia il suo cambiamento. Ad esempio: la rimozione della statua di Indro Montanelli non cancellerebbe il passato (chi era, cosa ha fatto ecc.), aggiungerebbe invece altre informazioni: è stata rimossa poiché Montanelli oltre ad essere stato un “grande giornalista”, “comprò una bambina eritrea di soli 12 anni”. Gesto di cui non si è mai pentito, piuttosto era invece un vanto, ed è lapalissiano dalla visione di questo video.

Se poi si considera il fatto che Montanelli abbia continuato a parlare di questo tragico evento con nonchalance, persino nel 2000, forse non si tratta proprio di “mentalità”, “comportamenti dell’epoca” (nonostante già dal 1930, la legge italiana considerava stupro quelli con i minori di 14 anni, motivo per cui successivamente il giornalista cambiò l’eta della bambina quando ne parlava).

È proprio questa l’alternativa proposta da Sorlin: infatti le fonti audiovisive per quest’ultimo si prestano allo studio della storia e possono essere considerati al pari dei documenti scritti. La forza delle immagini risiede nel fatto che queste “rispecchiano il visibile” (Ibidem).

Una statua è una statua, rimane per secoli, millenni dove si è posta. La si osserva in quell’hic et nunc peculiare di ogni opera. Dunque, se è vero che lo spirito del tempo è cambiato, se oggi si è un po’ più civili di ieri non si possono ignorare questi gesti. Non significa cancellare o sostituire il vecchio con il nuovo.
Al contrario è una presa d’atto, ed è vero che bisogna conoscere il passato per non ripetere gli stessi errori. Però conoscerlo continuando ad ignorare certi aspetti è già l’errore.

La volontà di non dimenticare è già evidente anzi, si è dipanata a tal punto da concretizzarsi, trasformandosi in azione per reinterpretare. Si corre il rischio altrimenti, di avere una lettura autoreferente. D’altronde a cosa servono le contraddizioni e i conflitti se non a far dialogare intere generazioni, “producendo” memoria?

Questo articolo è già stato pubblicato su Mangiatori di Cervello.