Sull’informazione medico-scientifica

Parlare di scienza e di salute pubblica è un compito complesso. Il rapporto che queste discipline hanno instaurato con i cittadini è dinamico, mutevole; appartiene ad una vasta letteratura sociologica che da secoli studia le relazioni e i meccanismi che sottendono tra media e pubblico. Un punto di partenza in cui questa interconnessione viene saldata può essere rappresentato dal Rapporto BODMER, del 1985. Con questo documento, la Royal Society denunciava un deterioramento del rapporto tra scienza e cittadini. C’era bisogno di instaurare una migliore comprensione della scienza, per far sì che le decisione pubbliche e private fossero migliori e volte al miglioramento della vita degli individui. Si sigillava così un patto tra scienziati e giornalisti: i primi devono comunicare con i cittadini attraverso i media, riconoscendone i limiti e i processi; i professionisti dell’informazione invece devono accettare ciò che viene espresso dagli scienziati. In Italia però la divulgazione scientifica, specie quella sanitaria sembra accentuarsi solo quando ci si trova ad affrontare emergenze come la pandemia da SARS-CoV2. La notizia “catastrofica” o “allarmante” fagocita tutte le altre, guadagnando facilmente visibilità.

È quello che è stato fatto da “la Repubblica” – e da molti altri quotidiani italiani – nel dare la notizia della sospensione in via precauzionale di un lotto di vaccini anti-COVID-19, prodotto da AstraZeneca. Il quotidiano ha subito ricevuto critiche per aver riportato la notizia in modo fin troppo allarmastico dedicandogli addirittura la prima pagina, cosa che invece non è stata fatta da altri quotidiani europei.

L’informazione sanitaria è quella che più deve essere analizzata dalla prospettiva del processo di newsmaking, ad esempio: una notizia può essere selezionata non tanto per il suo valore medico o divulgativo, quanto per la facilità con la quale essa viene reperita, se rientra nei temi dell’agenda politica, economica, sanitaria del momento, per via di elementi che garantiscano visibilità. E cosa in questo momento più del vaccini può fare notizia? È giusto? Assolutamente sì. Lo è meno se per farlo si utilizzano determinati frame in funzione di interpretazione, perché la cornice inquadra ciò che è rilevante ed esclude ciò che dovrebbe essere ignorato.

Inoltre ci sono elementi che suggeriscono anche quale atteggiamento assumere nei confronti di quel contenuto. «Il frame è un invito o un incentivo a leggere una news in un dato modo» (“Cornici di realtà”, Bruno, 2014). Secondo Dean, i mezzi di comunicazione perseguono tre tipi di logica per affrontare temi inerenti al rischio e la paura: la logica della garanzia nella gestione del rischio, quella del calcolo del rischio e infine, la logica della gestione delle singole criticità. Ne deriva che i media, seguendo queste logiche, sono in grado di amplificare o ridurre il senso di insicurezza a seconda delle interpretazioni e delle rappresentazioni generate. Motivo per cui i cittadini non reagiscono ai rischi in sé ma alle rappresentazioni sociali che a essi si danno. 

Il problema di scrivere titoli così sta proprio nell’importanza che i media hanno nel riflettere e diffondere determinate rappresentazione sociali, specialmente in ambito medico e scientifico. Per questi ambiti infatti i mezzi di comunicazione rappresentano «la più influente fonte di informazione quotidiana sui rischi per la salute per il pubblico» (Who, 2007). E in un periodo di emergenza che va avanti da ormai un anno, una corretta informazione può portare ad esiti positivi, come ad esempio la creazione di un rapporto di fiducia tra i cittadini e l’EMA (Agenzia Europea per i Medicinali) o l’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco)h. In caso di interpretazioni distorte degli eventi, invece si aumenta quel senso di insicurezza trasformando una preoccupazione sedimentata in allarme sociale. 

I risultati?