Un ufficio dematerializzato per la sostenibilità

Ambiente, società ed economia, non sono semplicemente collegati fra loro, ma sono parti di un tutto, interconnessi e interdipendenti, ed il tema della sostenibilità è affrontato sia dal punto di vista globale che dal punto di vista locale dei singoli paesi.

La tecnologia ricopre sempre più un ruolo indispensabile e per questo è ancora più importante ragionare in termini di sostenibilità digitale. Le innovazioni digitali possono contribuire in modo considerevole al raggiungimento degli obiettivi di Agenda 2030 e alla costruzione di un futuro sostenibile, dalla quale tutti possano trarne benefici: sia le generazioni di oggi che quelle di domani. L’Agenda 2030 è fondata sulla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e su tutti gli altri documenti internazionali relativi ai diritti dell’uomo e al diritto internazionale. In “Trasformare il nostro mondo: l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile” al punto 19 è evidenziato:

“La responsabilità̀ di tutti gli stati, in conformità̀ con la Carta delle Nazioni Unite, di rispettare, proteggere e promuovere i diritti umani e le libertà fondamentali di tutti, senza nessuna distinzione di razza, colore, sesso, lingua, religione, opinioni politiche o di altra natura, nazionalità̀, classe sociale, proprietà̀, nascita, disabilità o alcuno status di altro tipo.”

Difatti, parlare di sviluppo sostenibile significa parlare dei diritti inalienabili della persona che sono centrali negli SDGs di Agenda 2030, come ad esempio: la dignità̀ e il valore della persona umana, l’uguaglianza dei diritti dell’uomo e della donna, l’eguale tutela contro ogni discriminazione, il concretizzare la parità̀ dei sessi e l’emancipazione delle donne.

 Qual è stato l’impatto della diffusione del coronavirus sulla sostenibilità?

Se da un lato la pandemia ha aggravato e reso più evidenti le disuguaglianze e il divario di genere, allo stesso tempo uno degli effetti causati da quest’ultima, è stato quello della riorganizzazione del lavoro in modalità remote working. Riorganizzazione che è avvenuta anche grazie alla dematerialization che invece, favorisce l’inclusione e la gender equity. La pandemia da Covid-19 ha portato all’attenzione alcuni fenomeni, in particolare in ambito lavorativo. Uno tra questi è l’emissione di CO2, un gas serra prodotto dalle attività umane, responsabile del 63% del riscaldamento globale causato dall’uomo. Molte aziende, durante le chiusure e le limitazioni degli spostamenti imposti dal governo, sono state costrette ad adottare la modalità di lavoro da remoto, permettendo agli impiegati di lavorare da casa. Questo ha portato a una riduzione significativa dell’inquinamento dell’aria, dimostrando che il raggiungimento del Goal 11: “Rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili”, e nello specifico il target 11.6: “Entro il 2030, ridurre l’impatto ambientale negativo pro-capite delle città, prestando particolare attenzione alla qualità dell’aria e alla gestione dei rifiuti urbani e di altri rifiuti.” è possibile. Infatti, come mostrano i dati riportati dal Global Energy Review 2021, nel 2020 le emissioni globali di CO2 sono diminuite del 5.8%: il più grande calo di sempre e cinque volte superiore al declino registrato nel 2009, periodo della crisi finanziaria globale.

Anche nel caso italiano si registra una diminuzione delle emissioni di CO2. Secondo i dati riportati da Italy for Climate nel dossier “Gli effetti del lockdown sulle emissioni di CO2 in Italia, una prima analisi congiunturale” le emissioni di CO2 nel mese di marzo sono diminuite del 17% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. In particolare, il crollo dei consumi di gasolio è responsabile della diminuzione di emissioni connesse alla mobilità. È interessante notare come questa pandemia abbia portato ad un miglioramento in termini di qualità dell’aria. Eppure, secondo le stime, nel 2021 si prevede nuovamente un aumento delle emissioni di CO2 del 4.8%. Questi dati potrebbero e dovrebbero far riflettere le aziende su come il remote working possa apportare numerosi benefici anche in termini di sostenibilità. In primo luogo, dal punto di vista ambientale, lavorare a distanza potrebbe ridurre gli spostamenti e di conseguenza, un risparmio per persona di emissioni. Inoltre, gioverebbe al lavoratore stesso, permettendogli di organizzare il proprio lavoro con più flessibilità, migliorandone la produttività, con un aumento della motivazione e della soddisfazione. Infine, dal punto di vista economico, il lavoro a distanza riduce i costi di gestione degli edifici, con un maggiore risparmio sull’illuminazione, sui sistemi di ventilazione e riscaldamento, e più in generale sui consumi energetici ed economici.

Un altro problema – che la crisi dovuta alla diffusione della pandemia ha portato alla luce – è quello della disuaglianza di genere nell’ambiente lavorativo. Secondo i dati Istat, nel mese di dicembre 2020 si è registrato un calo di occupazione dello 0.4% rispetto al mese precedente, pari a 101 mila unità. Di queste, il 98% è rappresentato dalle donne e solo il 2% dagli uomini. Dati che fanno riflettere su come le donne rappresentino ancora la categoria più colpita e meno protetta nel mondo del lavoro. Stando ai dati del Global Gender Gap Report 2021, l’emergenza sanitaria e la crisi economica hanno avuto impatti più gravi sulle donne che sugli uomini, e attualmente, ci vorranno 135,6 anni per colmare il divario di genere. Il remote working, in quest’ottica, potrebbe contribuire a ridurre questo divario sul mercato del lavoro. La flessibilità, infatti, può aiutare a valorizzare il lavoro femminile, avvantaggiando le donne – e più in generale i lavoratori ­– nella gestione di una maggiore conciliazione tra vita privata e vita lavorativa. Inoltre, con il lavoro agile e di conseguenza, riacquistando una maggiore libertà nella gestione del lavoro, la donna potrebbe rinunciare al contratto part-time, aumentando la possibilità di ottenere un contratto migliore. Dunque, il punto di partenza sono le aziende. Se tutte iniziassero ad adottare la modalità di lavoro da remoto, i vantaggi economici, sociali e culturali sarebbero evidenti.

Verso la Sostenibilità e gli obiettivi di Agenda 2030

Quali sono i vantaggi dell’ufficio dematerializzato? E quali, invece, le debolezze? Facendo una ricerca più approfondita, emergono alcuni punti di forza nell’ottica del remote working. Tra le altre cose, il lavoro a distanza offre anche l’opportunità di ridurre il consumo di plastica monouso utilizzata spesso in ufficio: si pensi ai bicchieri usati durante la pausa caffè. Un altro punto di forza riguarda l’accesso al lavoro, non più limitato dal numero di posti di lavoro disponibili nella zona. A livello salariale, potrebbero diminuire i fattori discriminatori e territoriali, in linea con una maggiore parità salariale. Inoltre, si potrebbe colmare il divario tra le zone rurali e urbane, poiché il lavoro virtuale potrebbe avere ricadute positive sull’economia locale, incentivando lo sviluppo di essa.

Per quanto riguarda i punti di debolezza, uno di questi concerne i lavoratori stessi. Secondo una ricerca dell’Ericsson Consumer & IndustryLab, il 44% dei dipendenti teme che la dematerializzazione potrebbe rendere la vita più difficile a causa della gestione dei tempi lavorativi. Anche le infrastrutture sono coinvolte, si veda l’implementazione del 5G nelle zone rurali e urbane che al momento ne sono sprovviste. Inoltre, le aziende dovrebbero garantire a tutti i dipendenti il pieno accesso ai processi e agli strumenti aziendali, indipendentemente dal dispositivo usato e dal fatto che essi siano connessi da casa o meno. Lavorare fuori dall’azienda potrebbe recare anche dei danni a livello di sicurezza informatica, essendo la rete domestica più soggetta a rischi, con una conseguente perdita di controllo dell’ambiente informatico. Ricapitolando: la dematerializzazione degli uffici e l’utilizzo della realtà estesa prevedono un miglioramento in termini di sostenibilità ambientale, economica e sociale. Anche se la strada per la disposizione e il ripensamento dell’ambiente di lavoro in una dimensione virtuale è ancora lunga.

Dematerializzare la vita lavorativa significa rendere reali, grazie al virtuale, le possibilità che la trasformazione digitale offre, agendo «sul senso delle cose, sulla percezione di valore da parte delle persone, sulle catene del valore di intere industrie» – come scrive Epifani in “Sostenibilità Digitale“. Afferisce ad una realtà complessa ma più sostenibile. Dematerializzare il lavoro e tutto quello che ne concerne equivale, tra le altre cose, a meno bisogno di spazio per gli uffici, a meno tempo e risorse impiegate per spostarsi. A tal proposito, il rapporto Ericsson del 2020 suggerisce che sempre di più, in futuro, le imprese percorreranno la strada della sostenibilità, aumentando anche il loro profitto. In “The dematerialization path to profitability and sustainability. The future of enterprises”, i decision-makers delle ICT intervistati, concordano sul fatto che le imprese dematerializzate saranno la norma entro il 2030: anche Mark Zuckerberg in un’intervista a The Verge ha appoggiato l’idea di trasferire metà dei suoi dipendenti in remoto entro i prossimi 10 anni, e la realtà estesa garantirebbe la presenza dei dipendenti in ufficio nonostante questi si trovino a distanza. E non è un caso che questa data coincida con quella di Agenda 2030. Una trasformazione di senso e una globalizzazione 4.0 con un risvolto ambientale non indifferente: quasi paradossalmente, la pandemia da coronavirus ha ampliato molte aziende i cui dipendenti e clienti sono diventati di portata globale. Sulla scia di questa nuova normalità, di questo processo irreversibile, è possibile guardare attraverso la lente della sostenibilità digitale ad alcuni punti chiave che permetteranno anche il raggiungimento di molti obiettivi di Agenda 2030. 7 aziende su 10 sono già a metà del loro percorso di dematerialization, ed entro il 2030 il 60% del lavoro svolto dai dipendenti avverrà al di fuori dell’azienda, il che significa agire – in maniera consapevole o meno – sia sul Goal 7 e i suoi target: “Assicurare a tutti l’accesso a sistemi di energia economici, affidabili, sostenibili e moderni.”; 7.2: “Aumentare considerevolmente entro il 2030 la quota di energie rinnovabili nel consumo totale di energia.”; 7.a: “Accrescere entro il 2030 la cooperazione internazionale per facilitare l’accesso alla ricerca e alle tecnologie legate all’energia pulita – comprese le risorse rinnovabili, l’efficienza energetica e le tecnologie di combustibili fossili più avanzate e pulite – e promuovere gli investimenti nelle infrastrutture energetiche e nelle tecnologie dell’energia pulita.”; sia sul Goal 9: “Costruire un’infrastruttura resiliente e promuovere l’innovazione ed una industrializzazione equa, responsabile e sostenibile.” aumentando anche: “la ricerca scientifica, migliorare le capacità tecnologiche del settore industriale in tutti gli stati – in particolare in quelli in via di sviluppo – nonché incoraggiare le innovazioni e incrementare considerevolmente, entro il 2030, il numero di impiegati per ogni milione di persone, nel settore della ricerca e dello sviluppo e la spesa per la ricerca – sia pubblica che privata – e per lo sviluppo.” (Target 9.5). Ciò rappresenta un’innovazione organizzativa e di processo che ha subìto un’accelerazione durante la pandemia. Una difficoltà trasformata in opportunità, ma che dovrà essere ancora adattata, ridefinita e perfezionata in funzione di altre dimensioni e tendenze: dall’integrazione economica globale, passando per la dimensione demografica e generazionale, fino ad arrivare al cambiamento climatico.

Ecco perché, se si pensa ai vari Goals di Agenda 2030, la decarbonization through dematerialization è molto più di uno slogan. È da un lato, la dimostrazione che se questi Goals sono stati fissati ci sono dei modi per raggiungerli, e dall’altro la conferma che le tecnologie possono essere guardate e usate sotto questo punto di vista: quello abilitante e propositivo. Il riferimento all’Obiettivo 11 è necessario: “Rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili”. Vale a dire supportare lo sviluppo di città a misura d’uomo. Nello specifico ai target: 11.3: “Entro il 2030, potenziare un’urbanizzazione inclusiva e sostenibile e la capacità di pianificare e gestire in tutti i paesi un insediamento umano che sia partecipativo, integrato e sostenibile.”; 11.a: “Supportare i positivi legami economici, sociali e ambientali tra aree urbane, periurbane e rurali rafforzando la pianificazione dello sviluppo nazionale e regionale.”

Un approccio di questo tipo è quello della dematerialization dell’ufficio: dai materiali utilizzati per la costruzione degli edifici atti a contenerli, fino alle emissioni generate per raggiungeri. Una dimensione di sistema i cui elementi sono intercambiabili con quelli della sostenibilità, permettendo così di ragionare in termini di sostenibilità digitale. Motivo per cui Enrico Giovannini parla di:

«Economia digicircolare, ad evidenziare la stretta correlazione tra economia circolare ed economia digitale come elementi connettivi delle trasformazioni necessarie per quella che definisce “utopia sostenibile”: quella energetica, quella del sistema dell’istruzione e della formazione e quella inerente al sistema fiscale»

Quando il remote working viene introdotto in questo ciclo, ha molteplici effetti sull’economia locale, sulla comunità e sulla nostra vita.

Come si è già visto durante la pandemia, l’ufficio dematerializzato e dunque il lavoro da remoto hanno portato ad una diminuzione del pendolarismo con impatti più che positivi sull’ambiente. E si stima che le tecnologie potrebbero portare ad una riduzione di emissioni di CO2 del 15% entro il 2030. Spesso però quando si parla di lavoro a distanza si tendono a sottostimare i benefici che se ne possono trarre in termini di sostenibilità ambientale: la media è di 3,2 tonnellate di emissioni di carbonio e 1.185 litri di benzina risparmiate in un anno per ogni lavoratore da remoto. Infatti, il 40% delle aziende ritiene la sostenibilità uno dei vantaggi chiave della dematerialization. Altrettanto vale per la produttività e la redditività. La possibilità di tagliare spazi prima dedicati alle scrivanie dei dipendenti è concreta: e se da un lato significa poter immaginare uffici senza pile di documenti, graffette atte a trattenerli e plastica di vario genere, dall’altro rende quell’ufficio di portata globale, trasformando persino la sua economia. Tutto ciò si traduce anche in: “Migliorare entro il 2030 le infrastrutture e riconfigurare in modo sostenibile le industrie, aumentando l’efficienza nell’utilizzo delle risorse e adottando tecnologie e processi industriali più puliti e sani per l’ambiente, facendo sì che tutti gli stati si mettano in azione nel rispetto delle loro rispettive capacità.”, come recita il target 9.4. e: “Promuovere un’industrializzazione inclusiva e sostenibile e aumentare significativamente, entro il 2030, le quote di occupazione nell’industria e il prodotto interno lordo, in linea con il contesto nazionale, e raddoppiare questa quota nei paesi meno sviluppati.”, al target 9.2. Oltre all’aumento della produttività dei dipendenti in remote working rispetto a quelli sul posto, che è già di per sé un vantaggio per il profitto, con il virtuale anche le aziende diventano flessibili. Un fattore importante, se si considera che la metà delle imprese intervistate concorda sul fatto che i conflitti e le pandemie continueranno ad essere ostacoli per il commercio globale: motivo per cui circa 6 su 10 contano di avere una clientela internazionale entro il 2030 e 4 su 10 ritengono fondamentale la capacità di assumere dipendenti a livello mondiale. La dematerialization, dunque, permette la mobilità dei posti di lavoro che a sua volta impatta sulla crescita delle compagnie e sui tassi di occupazione. Un’azienda globale che ha risvolti anche sull’economia locale: un sistema di elementi interagenti rispetto ai quali la decentralizzazione non è un fattore che pesa più degli altri, ma che agisce tra e con gli altri fattori. Sistema che è alla base dello sviluppo economico basato sui posti di lavoro in un determinato luogo: le imprese, infatti, contribuiscono ad alimentare le infrastrutture locali che a loro volta investono su risorse e dipendenti; ne risulta che chi spende in una determinata area grazie ad un’azienda a sua volta alimenta altre aziende, dando vita ad una circolarità digisostenibile. L’occupazione così non dipende più dal numero di posti di lavoro disponibili in quella zona né è limitata dal tempo che ci vorrebbe per raggiungerla. Il risultato è quello di un personale sempre più diversificato, favorendo anche l’inclusione: un altro obiettivo che rientra tra quelli di Agenda 2030, perché spesso ci si concentra più su “chi” e “dove” quando invece la priorità dovrebbe essere “quanto” e “cosa”. Al Goal 5, infatti si può leggere: “Raggiungere l’uguaglianza di genere ed emancipare tutte le donne e le ragazze.” con i suoi target 5.1: “Porre fine, ovunque, a ogni forma di discriminazione nei confronti di donne e ragazze.” e 5.5: “Garantire piena ed effettiva partecipazione femminile e pari opportunità di leadership ad ogni livello decisionale in ambito politico, economico e della vita pubblica.”. La dematerialization concorrerebbe a ridurre le ineguaglianze, annullando le discriminazioni di genere e promuovendo l’inclusività, toccando anche il Goal 10: “Ridurre l’ineguaglianza all’interno di e fra le Nazioni.” e il suo target 10.2: “Entro il 2030, potenziare e promuovere l’inclusione sociale, economica e politica di tutti, a prescindere da età, sesso, disabilità, razza, etnia, origine, religione, stato economico o altro.”

Con il remote working infatti, per valutare l’efficienza si utilizzano modelli di monitoraggio diversi che si basano esclusivamente sulle prestazioni dei dipendenti, gravando meno su tutti quei comportamenti e/o caratteristiche del lavoratore: nessuna azienda si preoccuperebbe dell’età, del genere o dell’orientamento sessuale della persona, ma solo sulla qualità del lavoro di quest’ultima. Inoltre, progetti come la vendita di case ad un euro potrebbero prendere piede più velocemente grazie alla dematerializzazione, permettendo in parallelo di «costruire una città nel cloud» e favorendo la crescita di quelle aree rurali o ad alto tasso di migrazione interna.

«Per combattere l’aumento della disoccupazione e dei tassi di migrazione urbana, i funzionari governativi stanno iniziando a pensare in modo creativo a come stimolare le economie rurali. Sorprendentemente, molti sembrano trarre ispirazione dal mondo aziendale»

La dematerializzazione del lavoro è una delle diverse strategie che devono essere adottate dalle imprese, per non lasciare nulla di intentato nel viaggio verso l’azzeramento delle emissioni. Soprattutto se questa scelta è vantaggiosa anche per chi da questo cambiamento è interessato: anche i remote workers, infatti, ne traggono molti benefici: dal rafforzamento della soddisfazione lavorativa fino alla partecipazione attiva nella propria comunità di riferimento; i lavoratori che stanno meglio si spendono attivamente nella società: ad esempio svolgendo attività di beneficienza a livello locale. Appare lapalissiano che le tecnologie impattano sulla società e a sua volta quest’ultima e l’economia impattano su questo mutamento. Incentivando così la crescita economica “duratura, inclusiva e sostenibile, un’occupazione piena e produttiva ed un lavoro dignitoso per tutti.” del Goal 8 e dei target: 8.2: “Aggiungere standard più alti di produttività economica attraverso la diversificazione, il progresso tecnologico e l’innovazione, anche con particolare attenzione all’alto valore aggiunto e ai settori ad elevata intensità di lavoro”; 8.3: “Promuovere politiche orientate allo sviluppo, che supportino le attività produttive, la creazione di posti di lavoro dignitosi, l’imprenditoria, la creatività e l’innovazione, e che incoraggino la formalizzazione e la crescita delle piccole-medie imprese, anche attraverso l’accesso a servizi finanziari.”; 8.4: “Migliorare progressivamente, entro il 2030, l’efficienza globale nel consumo e nella produzione di risorse e tentare di scollegare la crescita economica dalla degradazione ambientale, conformemente al Quadro decennale di programmi relativi alla produzione e al consumo sostenibile, con i paesi più sviluppati in prima linea.”; 8.5: “Garantire entro il 2030 un’occupazione piena e produttiva e un lavoro dignitoso per donne e uomini, compresi i giovani e le persone con disabilità, e un’equa remunerazione per lavori di equo valore.”; 8.9: “Concepire e implementare entro il 2030 politiche per favorire un turismo sostenibile che crei lavoro e promuova la cultura e i prodotti locali.”

Dunque, la sostenibilità digitale svolge quella funzione di rimediazione e ricostruzione di modelli economici e sociali sostenibili, fornendo allo stesso tempo un’idea della società che si contribuirà a sviluppare. Parte di questa trasformazione è possibile grazie alla tecnologia della realtà estesa (XR) a cui 6 aziende su 10 puntano entro il 2030. L’utilizzo di questa tecnologia, infatti, potrebbe favorire incontri virtuali interattivi annullando del tutto la differenza tra reale e virtuale, permettendo un’esperienza comunicativa totalmente collaborativa pur senza nessun contatto. Basti pensare che la XR include anche la possibilità di implementare desktop virtuali dotati di tastiere e mouse che possono essere proiettati su di una qualsiasi superficie, consentendo così la trasformazione di qualsiasi luogo in una postazione da lavoro garantendo, ad esempio, il target 8.8: “Proteggere il diritto al lavoro e promuovere un ambiente lavorativo sano e sicuro per tutti i lavoratori, inclusi gli immigrati, in particolare le donne, e i precari”. O ancora, attraverso la proiezione di magazzini virtuali si potrebbero effettuare gli approvvigionamenti per la propria azienda visualizzando i prodotti e le loro caratteristiche: percependone il peso o le superfici.

La pandemia ha cambiato drasticamente le esigenze e le abitudini delle imprese, creando una nuova normalità in cui anche il lavoro e le riunioni da remoto hanno dovuto evolversi. A corollario del fatto che molte cose non torneranno come prima. Ovviamente dematerializzare gli uffici non significa che gli edifici o i luoghi fisici smetteranno di esistere, piuttosto ci si chiederà cosa avrà senso fare con quegli edifici. La dematerializzazione dell’ufficio, e più in generale del lavoro, è l’esemplificazione del concetto di antifragilità: una trasformazione delle attività lavorative da fisiche a virtuali che è stata accelerata anche dalla situazione di emergenza globale, riuscendo a sfruttare – in un contesto difficile – i colpi subiti per sviluppare e implementare la ricerca di elementi che consentano una ripartenza. Ripartenza che, a lungo termine, sarà in grado di riscattare i sacrifici fatti e di supportare almeno 14 dei 17 obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite.

Perché per essere “imprese senza frontiere” non basta soltanto raggiungere clienti di portata globale, ma anche riuscire a guardare ai clienti nel tempo, molto più importanti: le generazioni future. Bisogna agire su una terza dimensione: quella temporale, oltre a quella locale e globale. La trasformazione digitale non deve esclusivamente preparare le imprese ad altrettanti futuri eventi dirompenti, ma anche fare in modo che non siano proprio loro a scatenarli.

«È giunto il momento di riflettere sul tipo di società di cui vogliamo far parte in futuro. C’è un’intuizione collettiva di cui abbiamo bisogno per costruire imprese sostenibili e meglio preparate alle sfide di domani. La decarbonizzazione e la dematerializzazione sono componenti chiave di questa evoluzione.»